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Storia

Le origini, il nome, le pubblicazioni di interesse e altre curiosità sulla storia del Comune.

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La toponomastica del comune di Gaiarine

La toponomastica gaiarinese risente degli influssi linguistici germanici. Il nome Gaiarine si ricollega al termine longobardo Gahagi (che significa pressapoco bosco chiuso) ed al suffisso collettivo -ina da cui si può interpretare " luogo dei boschi chiusi ".
Francenigo, invece, sembra la fusione di un termine di origine transalpina, Francius e del suffisso latino con valore prediale -icus. Quindi significa all'incirca " terre di proprietà di Francinius ", in riferimento all'assegnatario cui era stato affidato quel determinato appezzamento di terra.
La frazione di Albina deve il suo nome al torrente Albinella, che la attraversa, mentre Campomolino, alla presenza dei numerosi mulini (tre quelli superstiti) che sfruttavano le acque del fiume Resteggia.

L'età antica

Le prime tracce di insediamenti abitativi in zona, risalgono probabilmente all'età neolitica: reperti in pietra e ceramica, rinvenuti nella zona dei Palù, al confine tra i comuni di Orsago, Cordignano, Sacile e Gaiarine, ne sono testimonianza . Sempre a quest'epoca risalgono anche altri particolari resti: le Mutere, forse tumuli tombali o fortificazioni sparse in vari punti della pianura. Quella più visibile ed interessante è situata a Campomolino presso l'azienda agricola Candiani, mentre l'altra sorge a Francenigo, vicino alle sponde della Livenza.
Infine a Gaiarine, nel 1995, si sono ritrovati i resti di una lamina in bronzo sbalzato di matrice paleoveneta, che lascia supporre la presenza di un piccolo santuario, e quindi di un nucleo abitativo paleoveneto.
Durante l'età romana il territorio gaiarinese faceva parte dell'Agro di Opitergium (l'attuale Oderzo) che allora comprendeva gran parte del settore orientale dell'attuale provincia di Treviso.
L'area considerata era stata sottoposta alla centuriazione da parte degli agrimensori romani: scelti il cardo e il decumano (cioè due assi perpendicolari) si tracciava un reticolato che portava alla formazione di ampi settori quadrangolari (circa 710-730 metri per lato) chiamati centurie. Questi venivano suddivisi in cento appezzamenti da distribuirsi in seguito ai coloni.
Durante la dominazione di Ottaviano, Ceneda risultava uno dei baluardi difensivi più importanti per i Romani, tanto che venne realizzata anche una centuriazione cenedese, identificabile perché gli assi principali presentano un'inclinazione diversa rispetto a quelli romani. Nel coprensorio gaiarinese sono scarsi i resti della centuriazione: di quella romana si ritrovano alcune tracce lungo alcuni fossati nella località di Calderano, di quella cenedese nella zona nord orientale di Gaiarine presso Casa Pinti.
L'organizzazione agricola romana prevedeva la distribuzione sul territorio di diverse ville rustiche, composte da un edificio principale e da numerosi appezzamenti lavorati da gruppi di coloni. Ritrovamenti archeologici risalenti a questa tipologia insediativa, chiavi, anfore, asce, pesi e campanacci per animali, indicano la presenza di tale struttura a Campomolino, nel settore di confluenza tra la Resteggia e la Livenza, ad Albina, nell'area dell'ansa del Livenza prospiciente a San Cassiano di Livenza e nei Palù di Francenigo, ai confini con Orsago e Cordignano.

L'età tardoantica e l'epoca medievale

Le invasioni barbariche del III e IV secolo segnarono il declino dell'impero romano ed anche l'agro opitergino fu smembrato, passando in parte ai Bizantini e in parte ai Longobardi.
Il comprensorio gaiarinese fu controllato dal ducato longobardo di Ceneda, che tuttavia non modificò l'assetto territoriale ne le strutture civili precedenti, favorendo l'integrazione tra la popolazione latina e quella germanica.
Anche quando i Franchi si sostituirono ai Longobardi, nel 774 d.C., le organizzazioni civili rimasero intatte. Ceneda, prima ducato, divenne una contea, in cui, grazie agli ingenti lasciti imperiali, gran parte del potere era in mano al vescovo. Proprio i vescovi cenedesi concessero come beneficio ai loro avvocati, i conti di Prata, il controllo sull'antica pieve di Francenigo, risalente al VII secolo e su tutto il suo territorio. I vari lasciti, che si protrassero dal 962 al 1203, arrivarono ad includere tutto l'attuale territorio comunale, includendo l'abitato di Roverbasso. Quando nel 1214 la famiglia di Prata si divise in due rami, cioè i Porcia e Brugnera e i di Prata, appunto, il territorio in questione fu ceduto ai Brugnera, nuovi avvocati del vescovo di Ceneda.
Il paesaggio, in epoca tardomedievale, cominciò modificarsi notevolmente, in relazione alla presenza di possidenti facoltosi e di grandi organizzazioni monastiche (come i monaci cistercensi dell'abbazia di Santa Maria di Follina o i Giovanniti del tempio di Ormelle) desiderose di ottenere una maggior rendita agricola attraverso il sistema curtense.
Ciò portò ad un deciso frazionamento dei poderi, spesso lavorati in affitto, ma coltivati con tecniche innovative e attraverso lo sfruttamento della ricca rete idrica, con la costruzione di canali irrigui e mulini. Gran parte dei benefici economici andavano ai proprietari delle terre, ma i tanti coloni potevano trovare maggior sostentamento sfruttando i beni comunali. Si trattava di cospicui raggruppamenti di terre incolte, pascoli e boschi (la cui concessione risaliva alla contea cenedese), nelle quali tutto il popolo poteva cacciare, raccogliere frutti, far pascolare il bestiame e raccogliere legna.

Il dominio veneziano

Gaiarine, sul finire del Trecento, venne inglobata all'interno della Repubblica di Venezia, che riorganizzò anche l'assetto amministrativo e territoriale di tutta la nuova area conquistata.
Il centro, a cui erano annessi Roverbasso e San Giovanni di Livenza, entrò a far parte della Patria del Friuli, sempre sotto la potestà dei Conti di Porcia e Brugnera.
Oltre all'antica pieve di Francenigo, centro non solo spirituale ma anche commerciale, perché posto lungo le rive liventine, a partire dalla fine sel '400 cominciano a costituirsi anche le parrocchie degli altri villaggi: nel 1456 quella di Gaiarine, intorno al 1512 quella di Albina e agli inizi del '600 quella di Campomolino.
Nel Cinquecento, il controllo sul territorio da parte di nobili veneziani e di terraferma fu piuttosto ingente: gli Altan di San Vito erano riusciti a stappare ai di Prata il feudo di Campomolino, i Porcia possedevano vasti possedimenti a Gaiarine e Francenigo. Sempre in quest'epoca, tutto il dominio veneziano subì un deciso incremento demografico, per far fronte al quale risultò necessario un aumento delle derrate agricole. Affinché ci fossero a disposizione più terreni coltivabili, vennero bonificati un gran numero di paludi ed acquitrini, pratica che si protrasse per tutto il secolo. Nemmeno Gaiarine fu esente da tali dinamiche, tanto che, confrontando gli estimi del 1518 con quelli del 1547, si nota un cospicuo incremento della superficie piantata rispetto a quella arativa anche se i campi appartenevano ad un gruppo poco numeroso di proprietari.
In seguito, il tracollo finanziario dovuto ai lunghi conflitti cinquecenteschi e secenteschi contro i turchi, obbligò la Serenissima alla vendita dei beni comunali, ossia di quelle terre demaniali che, poste a bosco o a pascolo, erano in usufrutto alle comunità rurali. La loro commercializzazione non doveva essere totale, tanto che ogni area venne suddivisa in sette frazioni, le cosiddette "settime", con l'intenzione di una vendita parziale. In realtà, con il peggioramento della situazione, spesso venne ceduta ogni parte. A partire dal 1647 vennero così smembrati anche i comunali di Gaiarine. Si trattava di circa 1200 campi, che si localizzavano in parte nel grande Palù di Francenigo, attraversato dal torrente Aralt, ai confini con Orsago e Cordignano e in parte nell'area del bosco della Vizza, tra Campomolino e Gaiarine, sino al limite del fiume Resteggia.
La maggioranza degli appezzamenti venne così acquistata dai nobili veneziani (Cellini, Tiepolo) e dalla borghesia locale (Pera, Segato, Amalteo), che traevano ormai tutte le loro ricchezze dal settore agricolo.

Dal Settecento ai giorni nostri

La messa a coltura di ingenti quantità di terreni demaniali, soprattutto a sorgo turco e vite, incise in maniera determinante nel modificare il paesaggio: vennero bonificate terre paludose, abbattuti ettari di bosco e realizzate nuove opere di irrigazione e svariati mulini, come testimoniano le centinaia di richieste di acque per usi irrigui rivolte ai Magistrati veneziani Sopra i Beni Inculti. Lungo il corso della Resteggia, a Campomolino, furono edificati i mulini Santuz (già esistente ed in seguito ampliato), Ambruzzi e Zerio. A Francenigo i mulini sorsero sulle sponde del torrente Aralt, come il mulino Piovesana nei Palù ed altri due nei pressi dell'attuale centro cittadino.
Mai come in questa fase la proprietà terriera si accentrò nelle mani di pochi e facoltosi possidenti, che per dare ancora più lustro alla propria posizione, scelsero di erigere sontuose dimore, attorno alle quali si ampliarono i futuri centri urbani.
A Campomolino i primi ad edificare una dimora gentilizia furono i conti da Prata, anche se la palazzina fu poi modificata nel corso del Settecento, quando divenne casino di caccia dei nobili Altan di San Vito al Tagliamento. I conti Porcia, nel Seicento, fecero ergere una pregevole costruzione, certamente rimaneggiata in epoca successiva, visti i caratteri decisamente settecenteschi dell'imponente facciata.
Ma durante tutto il Settecento, sempre a Gaiarine, il nuovo ceto dirigente composto di avvocati, notai e proprietari terrieri, avvia la costruzione di ben quattro ville: Cappellari, Borlini-Cicogna (divenuto municipio il 3 luglio 1871), Pera (circondata da un pregevole parco) e Segato (circondata da alte mura di cinta e intorno alla quale si possono individuare parte dei terreni annessi al complesso residenziale).
Ma neppure a Francenigo e ad Albina si sfuggì a questa prassi: i Piovesana, i più grandi possidenti francenighesi, vollero innalzare, di fronte all'antica chiesa, una lunga costruzione, con decorazioni in pierta, dietro alla quale ancora si estende un vasto conglomerato di campi risalente a quell'epoca. I Carli, ad Albina, già sul finire del Seicento fecero costruire un palazzo nei pressi della chiesa, che poi, all'estinguersi della famiglia venne ceduto alla parrocchia locale.
Intorno a questi edifici padronali, sorgevano pochi edifici sparsi nella vasta campagna: di solito lunghi casoni in muratura, con tetti di coppi e paglia. Alcuni di questi si possono ancora ammirare nella località di Albina e nei pressi della Resteggia a Roverbasso.
Dopo la caduta del dominio veneziano, l'Ottocento fu un secolo di grandi cambiamenti e difficoltà: per volere degli austriaci le ultime terre demaniali furono messe in vendita, i boschi vennero ulteriormente abbattuti, ma sostanzialmente la terra fu ancora un privilegio di pochi grandi possidenti, fu conclusa la strada che conduceva da Portobuffolè a Sacile ed eretto un ponte sul Livenza tra Francenigo e San Giovanni di Livenza.
La crisi agraria e i continui stravolgimenti politici piegarono la popolazione locale, composta da villici spesso denutriti e ammalati di pellagra. Cominciarono ad esservi i primi tentativi di emigrazione all'estero, come in Australia o in Brasile, ma pochi furono coloro che giunsero a destinazione.
Con l'Unità d'Italia, le cose iniziarono lentamente a migliorare: Gaiarine fu inglobata nella provincia di Treviso e nel distretto coneglianese, furono stanziate somme per l'ospedalizzazione degli indigenti, venne migliorata la rete viaria e sorsero i primi uffici postali.
Nel secolo seguente, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale segnarono duramente anche il territorio di Gaiarine e la disperazione e la povertà che si lasciarono alle spalle costrinsero numerosi locali ad abbandonare la propria terra ed emigrare, in cerca di fortuna nelle Americhe, nel nord Europa e in Australia.
Ma già intorno agli anni venti del secolo, col sorgere delle prime industrie (come la filanda Piovesana a o il mobilificio Jesse a Francenigo) si avvertirono i primi segnali di miglioramento. Già nel 1958 si potevano contare 174 laboratori di ebanisteria, piccoli centri artigianali che negli anni Sessanta e Settanta si svilupparono e diedero vita quell'industria del legno per cui Gaiarine è nota in tutta Italia.

[ a cura della Dott.ssa Bernadetta Dardengo ]

Bibliografia di riferimento

  • Baccichet Moreno, Begotti Pier Carlo, Brugnera, feudo e comune, GEAP,1990.
  • Brunetta E., Galletti G., Storia di Gaiarine, Canova, 2003.
  • Del Torre G., Il Trevigiano nei secoli XV e XVI, Fondazione Benetton,1995.
  • Istituto Regionale per le ville venete, Ville venete: la provincia di Treviso, a cura di S. Chiovaro, Electa, 2001.
  • Moret A., Summa Archeologica romana liventina, XVIII notiziario del museo storico didattico liventino di san Giovanni del Tempio, 1998.
  • Pitteri M., Alle origini della crisi agraria del coneglianese durante la dominazione veneziana: lo scorporo siecentesco dei beni comunali, in "Storiadentro 5", 1989, pp. 7-32.
  • Scarpa G., Proprietà ed impresa nella campagna trevigiana all'inizio dell'Ottocento, Collana di Studi Storici, Sociali ed Economici del Veneto, 1981.
  • Simonetto M., I lumi nelle campagne, Fondazione Benetton, 1998.
  • Zanussi M., Tracce di romanità nel territorio di Codognè, in Codognè nascita e sviluppo di una comunità trevigiana, tra Livenza e Monticano, a cura di L. Caniato, G. Follador, Comune di Codognè, 1990, pp. 23-57.

Le frazioni

Albina

Frazione del Comune di Gaiarine collocata nella parte centrale del territorio tra il fiume Livenza ad est ed il fosso Albinella più ad ovest. E' appartenuta fin dal XIII secolo alla "Villa" di Gaiarine e divenne parrocchia nel 1512. Il nucleo del centro abitato è caratterizzato dalla chiesa di San Silvestro che custodisce alcune belle pale d'altare del XVII secolo traslocate dall'antica Chiesa Parrocchiale parzialmente demolita di cui la Chiesetta del Cimitero ne mantiene l'abside. Da segnalare Villa Elena che ospita un centro infanzia, l'altarino della Santissima Trinità in via Cal Lunga ed un pregevole patrimonio di architettura rurale con casa Papes ed i Casoni di Albina, raro esempio di architettura rurale povera.
Albina è circondata da un territorio a prevalente vocazione agricola ma ricco di peculiarità paesaggistiche come: i laghetti, che anche se nati per mano dell'uomo, hanno acquisito negli anni una riconosciuta valenza naturalistica e paesaggistica e l'Ansa Restera Zandegiacomi in Val del Gorg importante progetto di recupero e conservazione di una situazione ambientale peculiare del Fiume Livenza.

 

Campomolino

Frazione del Comune di Gaiarine collocata nella parte più a sud del territorio. E' appartenuta fin dal XIII secolo alla "Villa" di Gaiarine e divenne Parrocchia nel 1446. Il nucleo del centro abitato è caratterizzato da antichi edifici di impianto cinquecentesco come Villa Altan sede della biblioteca e la chiesa di San Lorenzo con il vicino oratorio di Sant'Antonio. Campomolino è circondata da un territorio a prevalente vocazione agricola ma ricco di peculiarità paesaggistiche come: i corsi d'acqua di risorgiva Rio Cigana ed il canale Resteggia su cui si trova il mulino Santuz e, nelle vicinanze, i mulini Zerio ed Ambruzzi; il Bosco Zacchi, uno dei rari relitti di bosco planiziale ora Riserva Naturale; la Mutera di Campomolino forma geologica artificiale che svetta nella campagna con i suoi due alti cipressi.

 

Francenigo

Frazione del Comune di Gaiarine collocata nella parte più a nord del territorio. Il nucleo del centro abitato si trova in prossimità del Fiume Livenza ed è caratterizzato da antichi edifici di impianto cinquecentesco come la chiesa di San Tiziano con la vicina settecentesca Villa Piovesana, edificio in stile veneziano con barchessa laterali e giardino.
A testimonianza di una antica tradizione artigianale, trasformata oggi in attività industriale conosciuta e ad alto livello, troviamo il mulino Munaret sull'Aralt, il Mulino Tonet noto come antica officina fabbrile, il setificio Piovesana dei primi del 900. Il territorio di Francenigo è anche ricco di aree a valenza naturalistica e paesaggistica legata al fiume Livenza e le sue caratteristiche anse, al Bosco Crasere, raro esempio di recupero naturalistico per la tutela della biodiversità, alla presenza di siepi secolari che accompagnano suggestive stradine di campagna, come le laterali di via Mazzul.